La figlia del mugnaio

Testo di Sanja Rotim

illustrazione di Liana Cagliarelli

Tanto tempo fa un mugnaio viveva con la sua famiglia, la moglie e la figlioletta di nome Annabella, in un mulino. Proprio così, quell’edificio non era solo un luogo di lavoro ma una vera e propria abitazione. Erano così affezionati a quella piccola e insolita dimora che non l’avrebbero cambiata per niente al mondo, forse nemmeno con una lussuosa reggia. Il mulino apparteneva alla stessa famiglia da generazioni ed era quindi comprensibile il loro affetto. Sia il nonno che il bisnonno di Annabella erano stati mugnai in quel mulino che sembrava essere lì da sempre. Le pale del mulino giravano al ritmo del vento e macinavano il grano che veniva poi venduto ai panettieri della zona ma anche ai semplici contadini.

Purtroppo, un giorno la moglie del mugnaio si ammalò di un male incurabile e in poco tempo morì. Così il mugnaio rimase da solo a crescere la figlia che ogni giorno diventava più bella, tanto che le diedero il soprannome Bella. Il padre e la figlia erano molto uniti e, quando Bella diventò grande il padre le disse che non doveva per forza rimanere con lui al mulino ad aiutarlo come faceva da sempre. Poteva trovarsi un’altra occupazione, più appropriata a una ragazza e alle sue ambizioni. Anche se si rendeva conto che sarebbe stato molto triste non averla più accanto e magari vederla trasferirsi, il padre non voleva essere egoista e desiderava il meglio per la figlia.

“Papà, non ti devi preoccupare per me, mi piace aiutarti. E poi non vorrei mai vivere in un posto che non sia un mulino a vento, non so se mi capisci. Nessun posto è bello come casa nostra”, gli disse convinta.

“Certo che ti capisco, cara mia”, naturalmente al padre faceva piacere sentire quelle parole.

Bella andava spesso nel bosco a raccogliere le fragoline e i mirtilli oppure i rami secchi che usavano per la stufa. Le piaceva passare il tempo con gli animali, erano diventati tutti suoi amici, dal primo all’ultimo. Era abituata a parlare con loro e pure a confidarsi. Un giorno nel bosco incontrò un ragazzo dall’aspetto piacevole e vestito in modo elegante che passava lì con il suo cavallo. Il ragazzo, abbagliato dalla sua bellezza, si fermò e si presentò. “Buongiorno, bella ragazza, mi chiamo Enrico, sono il figlio del conte Massimiliano IV.”

Lei si sentiva un po’ in imbarazzo e si presentò a sua volta.

“Mi chiamo Annabella, ma tutti mi chiamano Bella.”

Il giovane aristocratico volle sapere di più sul suo conto e quando comprese che era la figlia di un mugnaio rimase molto sorpreso e un po’ deluso.

“Vivi in un mulino a vento?” chiese incredulo.

“Esatto”, gli rispose lei sorridendo. Non si sarebbe mai vergognata della sua casa.

I due iniziarono a vedersi ogni tanto. All’inizio a Bella sembrava un ragazzo educato, ma poi capì che invece era arrogante e prepotente. Un giorno la afferrò per una mano e la strinse forte a sé.

Le disse in modo scortese:

“Diventerai mia moglie, non mi va più che ci vediamo così”.

Lei incredula gli rispose che non ne aveva la minima intenzione e lui si arrabbiò tanto da darle un ceffone. Bella singhiozzando scappò via di corsa. Al giorno d’oggi una ragazza sarebbe andata alla polizia a denunciare l’accaduto ma purtroppo quelli erano tempi diversi.

Gli animali avevano assistito alla scena ed erano dispiaciuti per la ragazza che aveva persino paura di recarsi di nuovo nel bosco. Qualche volta la incontravano ancora, ma era sempre di fretta e sembrava spaventata. Raccontò loro che Enrico si presentava e la importunava persino a casa sua in presenza del papà. Non sapeva più cosa fare, gli animali le promisero che avrebbero cercato di aiutarla in qualche modo ma lei rimase scettica.

“E che cosa potete fare per me? Nessuno mi può aiutare.”

“Io potrei sorvegliare la strada che percorre verso casa tua. Ogni volta che si avvicina al bosco o al mulino inizierò a fischiettare continuamente, così potrai scappare o chiuderti in casa” propose la civetta.

“Buona idea. Ma dobbiamo fischiare in coro e a lungo, così ci sentirai di sicuro”, disse il falco.

“Già, facciamo cinque fischi continui, così sai che lui è nei dintorni”, aggiunse il gufo.

“Vi ringrazio, amici miei”, Bella era commossa dalla disponibilità degli animali.

E quell’esperimento funzionò per un po’ di tempo. Se Bella era nel bosco e all’improvviso sentiva cinque lunghi fischi scappava in fretta. Anche quando era nel mulino, lei e il papà si chiudevano dentro appena capivano che Enrico stava arrivando. Qualche volta però picchiava sulla porta e urlava:

“Apritemi, so che siete dentro”.

Sapeva che erano in casa perché poteva sbirciare dalla finestra sprovvista di tapparelle e le tende erano abbastanza trasparenti.

Ogni tanto Bella e suo papà andavano con il carro in un altro paese dal panettiere al quale vendevano il grano. Era un buon cliente. Allora si assentavano per una giornata intera. In quei giorni gli uccelli non fischiavano, tanto Enrico non poteva fare del male alla ragazza se non era in casa. Enrico si accorse di quella stranezza. Quasi tutte le volte che passava per il bosco sentiva uno strano verso degli uccelli, oppure quando si avvicinava al mulino e lei non gli apriva la porta. Ma stranamente quando il mulino era vuoto gli animali non facevano nessun rumore. Capì che quello era un accordo tra gli uccelli e la ragazza, per avvisarla della sua presenza.

“Ma non finisce qui”, si disse infastidito, “dannati animali.”

Il panettiere al quale vendevano il grano macinato aveva un bel figlio di nome Fabio. Bella e Fabio si innamorarono. Era un ragazzo educato e dolce e avevano tante cose in comune. Iniziarono a frequentarsi. Bella gli aveva raccontato tutto delle minacce di Enrico e dell’aiuto degli amici uccelli.

Ma Fabio non poteva fare niente oltre che sperare che questo tizio lasciasse in pace la sua innamorata.

Enrico sentì che Bella si era fidanzata e andò su tutte le furie. In cuor suo aveva capito che non l’avrebbe mai conquistata. Allora decise di vendicarsi.

Quando andava nel bosco portava sempre con sé uno zaino con gli attrezzi. Aspettò il giorno in cui gli uccelli non fischiavano, allora capì che nel mulino non c’era nessuno. Aveva in mente di manomettere le pale del mulino. Così non avrebbero lavorato per un po’ e Bella non avrebbe incontrato spesso quel ragazzo, il figlio del panettiere.

Enrico riuscì ad arrampicarsi sulla torre del mulino e inizio a cercare di danneggiare le pale, non dovevano più girare con il vento. Ma gli uccelli si accorsero che qualcosa non andava. In pochi attimi capirono che dovevano fermarlo immediatamente. Tutti gli animali del bosco si diedero da fare e fu trovata in fretta una corda. In seguito, uno stormo di uccelli guidati dal falco si accanirono su Enrico che restò bloccato dalla paura. Si avvicinarono digrignando i denti anche la volpe, la lince e un piccolo castoro che voleva rendersi utile anche lui.

“Ma cosa state facendo, brutte bestie? Lasciatemi in pace, cosa vi ho fatto di male?”, urlava disperato ma all’improvviso si ritrovò a girare con le pale del mulino. Il falco e la civetta, con l’aiuto di tanti altri piccoli uccellini, erano riusciti a legarlo tirando la corda con i denti mentre un cervo con un imponente palco di corna intimava al malcapitato di non muoversi.

Urlava e urlava ma gli animali lo tennero bloccato fino a quando non si presentò il gufo. Con la sua aria saggia fece capire a Enrico che lo avrebbero lasciato libero soltanto dopo aver promesso sinceramente che non avrebbe mai più cercato Bella. E così fece, scappando terrorizzato fra le risate e i versi intimidatori degli animali.

Bella non venne a sapere mai dell’accaduto ma si accorse che quel ragazzo arrogante non la cercava più. Si sposò con il figlio del panettiere. Rimasero a vivere nel mulino a vento e accanto costruirono pure una panetteria, così tutto divenne molto più semplice. Vissero a lungo felici e contenti e il loro pane era il migliore tanto che il re voleva essere rifornito solo da loro.

Per quanto riguarda gli uccelli…… loro si accontentarono delle briciole e gli altri animali furono felici di passare un po’ di tempo con Bella e la sua famiglia.

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